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Messaggio  Avv. Cristina Zorzi Mer Giu 03, 2009 10:14 am

La tassa che grava sugli immobili si paga soprattutto sugli impianti eolici e fotovoltaici, considerati alla stregua di opifici in categoria D1. L’ha deciso l’Agenzia del Territorio (con risoluzione n.3 del 2008) sulla base di una disciplina catastale del 1949. Una situazione analoga a quella delle centrali idroelettriche.
La legislazione italiana quindi impone l’I.c.i. sui pannelli fotovoltaici considerandoli come dei normali edifici industriali e quindi sottoponibili alla tassa. A Roma, nel corso del Forum Qualenergia, l’amministratore delegato di Unendo energia, Enrico Bruschi denuncia infatti il pagamento di 150.000,00 euro all’anno di I.c.i. per impianto eolico da 36 Mw.
"Il comune" - spiega Bruschi - "vuole l’ imposta che va a sommarsi alle royalties per aver accettato di ospitare l’impianto nel proprio territorio. Per determinare la tassa si è risaliti al valore catastale in base all’investimento, con un’ attualizzazione a un certo anno, che è diventata la base su cui si paga tra il 5 e il 7 per mille".
A Bologna, però, Unendo energia, come conferma Bruschi, può investire in eolico senza pensare all’I.c.i.: una sentenza di gennaio 2009 della Commissione tributaria provinciale esclude dal pagamento dell’I.c.i. gli impianti eolici, inquadrabili nella categoria catastale E, cioè immobili con destinazioni speciali e di pubblico servizio, pertanto esenti da Ici. Per il fotovoltaico a terra, la questione, tuttora in discussione, sembra aperta.
Da più voci competenti, presenti al Forum, è stato detto che una tassa del genere sarebbe difficilmente sopportabile per il settore. In altre parole, secondo l’APER (Associazione produttori energie rinnovabili) l’I.c.i. sull’eolico in Italia si paga a macchia di leopardo, secondo quanto indicato da Bruschi a margine del forum di Legambiente "Quale energia?".
Dal 2008 gli impianti di produzione delle rinnovabili sono equiparati ad opifici e sottoposti all’imposta dell’I.c.i., incassata dai Comuni per occupazione del loro territorio e stabilita con un calcolo complesso. Un impianto eolico infatti è composto di pale in superficie e un sistema di cavidotti sotterranei. Il suo valore catastale è definito attraverso una attualizzazione del valore dell’investimento, cioè a partire da una data fissata, e che poi diventa valore di riferimento.
“Significa che oggi" - prosegue Bruschi - "nei piani economico-finanziari di un’azienda va inserito anche questo 5-7 per mille: ad esempio per il nostro impianto eolico da 36 MW e 60.000.000,00 di Euro di investimenti a Troia (Foggia) è pari a 150.000,00 euro l’anno. A queste spese si aggiunge la royalty da pagare al Comune, che di solito è una percentuale sull’energia prodotta. Ma l’I.c.i. oggi non si paga in tutta Italia. Ad esempio a Bologna non viene applicato, perché lì l’impianto eolico non è assimilato a un opificio. A Foggia sì”.
Urgente è, dunque, per Bruschi, fissare l’I.c.i. con un metodo omogeneo nazionale, “altrimenti diventerebbe un deterrente per le aziende”. Altro punto cruciale per il futuro prossimo delle rinnovabili in Italia è la battaglia in corso da parte delle imprese produttrici contro la proposta di estendere l’I.c.i. anche al fotovoltaico per gli impianti a terra.
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